Leucemia Linfoblastica Acuta

Che cos'è la Leucemia Linfoblastica Acuta dell'età pediatrica (LLA)?

La LLA è una rara forma di tumore che colpisce le cellule progenitrici dei linfociti all’interno del midollo osseo. I linfociti sono una parte dei globuli bianchi e ci proteggono dalle infezioni, rappresentando una parte fondamentale del nostro sistema immunitario.
Ci sono due tipi principali di linfociti: i linfociti B e T. In caso di LLA, nel midollo osseo si accumulano cellule immature precursori dei linfociti, chiamate blasti leucemici, i quali vanno incontro ad una crescita e proliferazione anomala e incontrollata. In conseguenza di ciò la produzione delle altre cellule ematiche normali viene progressivamente alterata con una conseguente riduzione del numero dei globuli rossi e delle piastrine nel sangue e con variazioni del numero dei globuli bianchi che può diminuire o aumentare anche in maniera molto significativa.

Quanto è frequente la Leucemia Linfoblastica Acuta?

La LLA è un malattia rara, ma è comunque il più comune tumore pediatrico in quanto rappresenta da sola circa un terzo di tutti i casi di tumore dei bambini. Peraltro la LLA è l’unica forma di leucemia che è più comune nei bambini rispetto agli adulti e rappresenta circa l’85% di tutti i casi di leucemia infantile. Il numero stimato di nuovi casi/anno è di circa 400 in Italia.

Quali sono le cause della Leucemia Linfoblastica Acuta?

Nonostante le cause rimangano largamente sconosciute, esistono fattori di rischio che possono essere ambientali o secondari a condizioni predisponenti ereditarie e/o acquisite. Fattori di rischio ambientali sono la pregressa esposizione a radiazioni ionizzanti, prodotti chimici (benzene, erbicidi e pesticidi) e agenti chemioterapici.
Condizioni ereditarie predisponenti sono la Sindrome di Down, i disordini ereditari caratterizzati da un difetto nei processi di riparazione del DNA e regolazione del ciclo cellulare (anemia di Fanconi, Sindrome di Bloom e atassia telangectasia), i disordini ereditari caratterizzati da alterazione della trasmissione del segnale nei processi di proliferazione e apoptosi cellulare (Sindrome di Kostmann, Sindrome di Shwachman-Diamond, Sindrome di Blackfan – Diamond e neurofibromatosi di tipo I) e la Sindrome di Li-Fraumeni.
Esistono poi delle condizioni predisponenti acquisite come l’anemia aplastica, l’emoglobinuria parossistica notturna e le sindromi mielodisplastiche.

Quali sono i segni o i sintomi della Leucemia Linfoblastica Acuta?

I segni ed i sintomi osservati più spesso in età pediatrica sono determinati dalla ridotta produzione delle normali cellule del sangue da parte del midollo osseo invaso dalle cellule leucemiche. In particolare si possono manifestare anemia (carenza di emoglobina per riduzione dei globuli rossi), che a sua volta determina astenia, facile affaticabilità e ridotta capacità di esercizio; piastrinopenia (carenza di piastrine), che causa lividi e petecchie sulla cute e aumentato rischio di sanguinamento dalla bocca o dal naso; alterazioni del numero di globuli bianchi (aumento o anche diminuzione) e della loro efficacia nel combattere le infezioni (motivo per cui all’esordio della malattia spesso sono presenti febbre persistente e infezioni localizzate).
Circa il 60% dei bambini con LLA presenta inoltre ingrossamento delle dimensioni del fegato e/o della milza, mentre circa un terzo presenta ingrossamento dei linfonodi. Nelle LLA-T ad esempio si può notare spesso un ingrossamento dei linfonodi palpabili e a volte anche di quelli presenti all’interno dell’organismo (per esempio quelli del mediastino, struttura posta all’interno della gabbia toracica ed esplorabile con una radiografia del torace). Molti bambini con LLA hanno anche dolori ossei o articolari. L’interessamento del sistema nervoso centrale da parte della malattia può infine provocare cefalea, nausea e vomito.

Come si pone la diagnosi della Leucemia Linfoblastica Acuta?

Anche se la diagnosi di LLA può essere sospettata sulla base dei sintomi del bambino, gli esami del sangue (e in particolare un semplice emocromo) sono essenziali per confermare la diagnosi.
La maggior parte dei bambini affetti da LLA ha un numero ridotto o elevato di globuli bianchi che, se guardati al microscopio, mostrano caratteristiche di anormalità e che vengono chiamati blasti leucemici. I globuli bianchi normali ed in particolare i neutrofili (la quota di globuli bianchi deputati a difendere l’organismo dalle infezioni batteriche) possono essere molto pochi ed esporre quindi il bambino ad un maggior rischio di infezioni. I bambini presentano anche anemia e/o piastrinopenia, conseguenza della ridotta produzione di cellule normali da parte del midollo osseo.
E’ molto importante poter classificare le cellule leucemiche. Il metodo più diffuso nel passato era quello denominato FAB dalle iniziali delle parole French-American-British indicative del gruppo di ematologi francesi, americani e britannici che hanno progettato tale sistema di classificazione e che consisteva nel guardare al microscopio l’aspetto delle cellule leucemiche, definendole in base alla loro morfologia (L1-L2-L3). Questo sistema, pur ancora applicato, non è oggi molto importante clinicamente, perché non determina di fatto alcuna variazione del trattamento.
La classificazione più importante è quella definita immunologica, basata cioè sulla presenza di specifici marcatori immunologici sulla superficie delle cellule leucemiche. In base a questa classificazione le cellule e di conseguenza il tipo di leucemia possono essere classificate come di linea B o T. Questa suddivisione è determinante in quanto condiziona il tipo di trattamento e la prognosi della malattia.
Circa l’80% di tutti i bambini con LLA presenta la forma chiamata a precursori B, mentre il 15% quella chiamata a precursori T. Il restante 5% è una LLA di tipo B ma con caratteristiche di particolare maturità immunologica chiamata LLA B matura. Questo particolare tipo di leucemia mostra numerose somiglianze con un’altra malattia tumorale chiamata Linfoma di Burkitt. La LLA B-matura ed il Linfoma di Burkitt si trattano infatti con combinazioni di farmaci molto simili (vedi capitolo linfomi).
Nel percorso di diagnosi è inoltre molto importante eseguire l’analisi dei cromosomi delle cellule leucemiche per poter poi pianificare il trattamento. Nel corso degli anni è stato dimostrato, infatti, che alcune anomalie genetiche (es cromosoma Philadelphia o t(4;11)) sono associate ad un andamento di malattia più aggressivo e con prognosi sfavorevole, mentre altre anomalie (es t(12;21)) sono associate ad una prognosi più favorevole.
Ad oggi, inoltre, l’identificazione di particolari anomalie genetiche permette di utilizzare farmaci cosiddetti targettizati, cioè che sono in grado di inibire la crescita delle cellule leucemiche proprio sfruttando le anomalie genetiche o gli specifici marcatori di superficie delle cellule.

Quali altre indagini vengono effettuate all'esordio?

Per determinare quali organi sono stati colpiti dalla malattia ed eseguire una valutazione dello stato di salute del bambino, nei primi giorni di ricovero vengono spesso eseguite radiografie, ecografie del cuore e dell’addome ed eventualmente TAC o risonanza magnetica. Il bambino viene inoltre sottoposto a visita oculistica ed odontoiatrica. La puntura lombare (prelievo del liquido che si trova all’interno della spina dorsale e intorno al cervello e che viene chiamato tecnicamente liquor) viene eseguita all’esordio in tutti i pazienti per valutare se la malattia ha colpito anche il sistema nervoso centrale e per iniettare farmaci chemioterapici direttamente nel canale rachidiano.
Vengono inoltre eseguiti esami ematochimici completi per valutare lo stato generale dell’organismo e per accertarsi che i bambini con LLA non siano anche affetti da altre anomalie che potrebbero controindicare l’effettuazione del trattamento chemioterapico od indicarne una modulazione.

Come si tratta la Leucemia Linfoblastica Acuta?

La terapia della LLA si basa su schemi di polichemioterapia chiamati protocolli di cura che si articolano il più delle volte in quattro fasi che si susseguono: 1) induzione della remissione mirato ad ottenere la scomparsa delle cellule leucemiche e la normalizzazione dei valori del sangue; 2) consolidamento della remissione: questa fase può utilizzare farmaci diversi da quelli della terapia di induzione e può includere terapie intensive (soprattutto nei pazienti ad alto rischio) e/o l’utilizzo di farmaci ad alte dosi; 3) re-induzione: in questa fase si utilizzano gli stessi farmaci o farmaci simili a quelli usati durante la fase di induzione e 4) mantenimento in cui si somministra terapia di bassa intensità fino a completare generalmente un periodo di terapia complessiva di 2 anni.. All’interno di uno stesso protocollo esistono trattamenti diversificati in base alle diverse categorie di rischio, definite utilizzando le informazioni addizionali riguardanti la caratterizzazione citogenetica, immunofenotipica e la risposta precoce alla terapia: pazienti ad alto rischio, caratterizzati da una maggior probabilità di presentare una recidiva di malattia sono sottoposti ad una terapia più aggressiva, pazienti che presentano un rischio ridotto possono beneficiare invece di un trattamento meno intenso, senza compromettere l’efficacia terapeutica.
Dopo il primo ricovero, il trattamento è principalmente somministrato come terapia ambulatoriale mediante accessi plurisettimanali nel Day Hospital Ematologico, ma sono previsti brevi ricoveri in ospedale per alcuni giorni. Lo scopo del trattamento è inizialmente quello di raggiungere uno stato chiamato di remissione completa e successivamente quello di ottenere la guarigione eliminando progressivamente ed in maniera completa la malattia con ulteriori trattamenti.
La remissione completa si ha quando:
• non è più possibile individuare al microscopio alcuna cellula della leucemia né nel sangue nè nel midollo osseo né in eventuali altre sedi interessate all’esordio
• sono scomparsi i segni e sintomi della malattia
• è ritornata ad essere presente una produzione delle normali cellule del sangue
La risposta alla terapia viene misurata a livello morfologico, valutando al microscopio ottico la riduzione della quota delle cellule leucemiche ai minimi termini (se nel midollo osseo sono presenti meno del 5% di cellule leucemiche si considera che il paziente abbia ottenuto la cosiddetta remissione morfologica completa). Ad oggi esistono però tecniche dotate di maggiore sensibilità nell’identificazione delle cellule leucemiche e che sono pertanto in grado di individuare anche la presenza di una cellula malata ogni 10.000 o 100.000 cellule sane. Metodiche come l’immunofenotipo (che identifica le cellule in base alla misurazione di particolari molecole espresse sulla superficie delle cellule malate, dette antigeni specifici di malattia) o test molecolari per la ricerca di particolari marcatori consentono oggi di monitorare in modo molto preciso la risposta al trattamento e di modulare di conseguenza l’intensità della terapia in base a questa risposta. In particolare i test molecolari per l’analisi della Malattia Residua Minima (MRM) sono effettuati presso il nostro Laboratorio Tettamanti non solo per i bambini in cura a Monza, ma per tutti i bambini italiani affetti da LLA.
Pazienti che non raggiungono una risposta morfologica o molecolare dopo le prime fasi di trattamento sono considerati ad alto rischio di recidiva e quindi preferibilmente candidati ad una procedura trapiantologica.
Le fasi più critiche della terapia sono l’induzione (che dura circa 3 mesi) e la reinduzione (che dura circa 2 mesi e viene somministrata dopo la seconda fase chiamata di consolidamento) per l’intensità della terapia somministrata, il rischio di aplasia (importante riduzione dei globuli bianchi) ed il conseguente rischio infettivo associato. In alcuni forme di malattia, nelle quali è più elevato il rischio di recidiva, sono anche previsti blocchi di chemioterapia intensiva costituiti spesso dalla contemporanea somministrazione di farmaci chemioterapici ad alte dosi. In casi ormai molto selezionati è prevista anche la somministrazione di radioterapia craniale prevalentemente allo scopo di prevenire la ricaduta al sistema nervoso centrale. Durante tutte queste fasi sono previste numerose punture lombari che prevedono l’introduzione di chemioterapici all’interno dello spazio intratecale mediante la procedura di puntura lombare.
L’utilizzo di farmaci chemioterapici capaci di distruggere massivamente le cellule leucemiche determina anche l’incapacità del midollo stesso di produrre nuovamente le normali cellule del sangue. Ciò può comportare alcuni rischi come infezioni e sanguinamenti, osservati prevalentemente durante le fasi intensive del trattamento. In queste fasi possono essere frequenti le trasfusioni di emoderivati (plasma, piastrine, globuli rossi concentrati). Più intenso sarà il trattamento maggiori saranno le probabilità che si manifestino questi effetti indesiderati.
La parte finale del protocollo di trattamento è rappresentata dalla cosiddetta fase di mantenimento durante la quale vengono somministrati farmaci chemioterapici per bocca fino a completare due anni dall’inizio del trattamento. In questa fase l’intensità delle cure e i controlli presso il Day Hospital sono notevolmente minori rispetto alle fasi precedenti e di conseguenza il bambino e la famiglia possono riprendere una vita normale, anche dal punto di vista sociale.
In alcuni casi, selezionati in base alle loro caratteristiche cliniche, biologiche e di risposta al trattamento, è necessario programmare l’effettuazione di un TMO.
Con gli attuali protocolli terapeutici, compresi i trattamenti aggressivi previsti per i bambini con malattie relativamente resistenti, il tasso di guarigione è molto alto e collocabile globalmente intorno all’85%. Tali percentuali vengono a volte modificate sia in eccesso sia in difetto a seconda delle caratteristiche di rischio evidenziate sia durante la fase iniziale sia durante i primi mesi di cura.

Terapia della LLA Ph+

La LLA Ph+ (Philadelphia positiva) è caratterizzata dalla presenza della traslocazione t(9;22)(q34;q11) in cui si ha la formazione del gene di fusione BCR-ABL sul cromosoma 22.
Questa forma di leucemia, che presente in circa ¼ dei casi di LLA in età adulta, è relativamente rara nell’età pediatrica (3-5% dei casi). Questo sottotipo di leucemia è stato associato a prognosi più sfavorevole; fino all’inizio degli anni 2000 questi pazienti venivano regolarmente sottoposto a trapianto di midollo osseo, con una probabilità di guarigione complessiva di circa il 30-40%.
La prognosi è nettamente migliorata con l’introduzione di farmaci specifici per questa leucemia, chiamati inibitori di tirosin-chinasi (TKI).
L’associazione di questi farmaci al trattamento chemioterapico hanno consentito di ottenere una buona probabilità di guarigione (circa il 70%) limitando l’utilizzo del trapianto di midollo osseo alla minoranza dei pazienti che presentano una scarsa risposta alla terapia iniziale, o ai pazienti che presentano una ricaduta della malattia.

Sperimentazioni

Negli ultimi anni sono stati sperimentati numerosi farmaci nella LLA dell’età pediatrica. Tra questi vanno ricordati il blinatumomab, il bortezomib, l’inotuzomab, la clofarabina, il dasatinib e diversi altri. Si tratta spesso di farmaci targettizzati, capaci cioè di colpire selettivamente costituenti peculiari e specifici del blasto leucemico linfoide.
I risultati derivati dalle sperimentazioni più recenti appaiono incoraggianti e si può ritenere che tali farmaci saranno presto impiegati, anche nell’età pediatrica, in ambito di terapia di prima/seconda linea (vedi paragrafo specifico).